MITO numero 1:
Fumare è un atto volontario di adulti consapevoli dei rischi
REALTA’ numero 1:
FUMARE E’ UNA DIPENDENZA, NON UN ATTO VOLONTARIO!

I produttori di tabacco sostengono che fumare sia un atto consapevole di persone libere. Lo credono anche molti fumatori. Sanno che fumare sigarette faccia male, ma non riescono a farne a meno. Persino molti non-fumatori sono convinti del fatto che fumare sia un vizio e che i fumatori siano persone senza forza di volontà. Quando si ammalano, perciò, i fumatori sono a volte stigmatizzati, come quelli che “se la sono cercata”. Si convincono così che tutto sommato è davvero colpa loro e si lasciano andare al caso.

FUMARE NON È UN ATTO VOLONTARIO: perché ci sia volontarietà l’individuo deve avere piena conoscenza dei rischi e che libero da costrizioni. Ma il fumo di tabacco viene sperimentato durante l’adolescenza, quando il ragazzo si sforza di uniformare i suoi comportamenti ai modelli familiari, amicali e ideali. Ma non sa che la nicotina modifica la fisiologia cerebrale e crea dipendenza. A questo punto il desiderio di fumare viene indotto senza o con minimi stimoli esterni. Per molti anni, il soggetto resterà un consumatore coatto.

Fumare è una dipendenza che si basa su cambiamenti delle funzioni cerebrali.

Aspirando il fumo da una sigaretta, la nicotina raggiunge il cervello in 8-10 secondi legandosi ai recettori dell’acetilcolina (nAChRs), situati in una specifica area del cervello (area tegmentale ventrale), attivandoli. Questa attivazione induce la creazione di nuove connessioni e nuovi circuiti neuronali, che permettono la liberazione di dopamina e altri neurotrasmettitori a livello del nucleo accumbens. La stimolazione produce piacere, eccitazione e modulazione dell’umore.

Continuando a fumare, la nicotina occupa tutti i recettori dell’acetilcolina, e con ulteriori dosi non si ottiene più la soddisfazione di prima (questo stato è chiamato tolleranza acuta). Successivamente, nel periodo di tempo in cui l’individuo non fuma, il livello di nicotina diminuisce, i recettori tornano di nuovo liberi e possono essere attivati da nuove molecole di nicotina assunte con altre sigarette.

Con la ripetizione di questo ciclo si sviluppa sia assuefazione a molti effetti della nicotina che dipendenza fisica. Quando la persona diventa dipendente, in mancanza di nicotina, sperimenta irritabilità, depressione, ansia, ma anche disturbi del sonno e aumento dell’appetito, deficit cognitivo e dell’attenzione, e soprattutto smania e bisogno di fumare di nuovo, perché i livelli di dopamina si abbassano.

L’acquisizione e il mantenimento della dipendenza sono influenzati da: (i) fattori di vulnerabilità come l’età, il sesso, fattori genetici, presenza di malattie mentali, e dipendenza da altre sostanze; (ii) la velocità del metabolismo della nicotina che viene degradata a cotinina nel fegato, velocità che rappresenta uno dei determinanti della concentrazione della sostanza in circolo; (iii) da fattori ambientali, sotto forma di vari tipi di stimoli a fumare: dagli amici che fumano alla pubblicità.

Ecco le evidenze riguardanti l’età, la genetica e i fattori ambientali.

Si comincia da adolescenti

Il consumo di tabacco inizia tipicamente nell’adolescenza: l’80% dei fumatori inizia a fumare entro i 18 anni. La particolare vulnerabilità del periodo adolescenziale ha basi biologiche e psico-sociali. Riguardo alle prime, si è visto che i cambiamenti cerebrali rilevati nei ratti, esposti alla nicotina nella fase di sviluppo, sono maggiori di quelli osservati nei ratti adulti. Inoltre, negli esperimenti in cui possono autosomministrarsi la nicotina, i ratti adolescenti si somministrano quantità di nicotina più elevate dei ratti adulti. D’altra parte il cervello adolescente sembra avere meccanismi regolatori diversi dal cervello adulto, che porterebbero ad amplificare le sensazioni di ricompensa e ridurre le sensazioni spiacevoli legate alla astinenza (3).

I meccanismi psico-sociali rendono gli adolescenti più vulnerabili

Il rischio di divenire tabagista è maggiore tra adolescenti i cui genitori e i cui fratelli maggiori fumano. Gli adolescenti si aprono alla vita sociale attraverso la relazione con i pari, adeguandosi alle norme dei gruppi di amici (socializzazione) e scegliendo o abbandonando i gruppi di amici in funzione delle norme che adottano (selezione). Come conseguenza il rischio di fumare è maggiore tra i ragazzi i cui amici fumano (4). Anche l’essere esposti al fumo da parte di altri adulti di riferimento, come i professori o altri modelli aumenta la probabilità di fumare (5). Ma il fumo è anche associato alla frequenza di esposizione a scene di film in cui si fuma, trasmissioni televisive di gare sportive sponsorizzate dall’industria del tabacco (6).

Queste influenze sono ben note all’industria del tabacco che ha utilizzato ampiamente tecniche di marketing, sotto forma di pubblicità occulta, ad esempio nei film, sponsorizzazione di eventi, in particolare sportivi. La relazione tra marketing e fumo è stata studiata estesamente accumulando prove su come il marketing influenza l’iniziazione e il mantenimento della dipendenza da parte degli adolescenti. E’ stata descritta la relazione tra marketing delle sigarette e bisogni adolescenziali, come quello di essere accettati dai pari, quelli di ribellarsi o assumere rischi e di ridurre lo stress. E’ stato messo in luce l’impatto del marketing sull’immagine che l’adolescente ha di sé e la sua percezione dei fumatori e si ritiene che esista un nesso causale tra esposizione a pubblicità del tabacco, iniziazione, e progressione verso il consumo continuato (7, 8).

Le influenze sociali sono tra i fattori più importanti associati al fumo in adolescenza e agiscono attraverso credenze normative (9), aspettative cioè che, secondo un individuo, le persone che rappresentano per lui un riferimento, nutrono riguardo al suo comportamento. Le credenze normative (ciò che pensiamo gli altri vorrebbero noi facessimo o non facessimo), in combinazione con la motivazione ad adattarsi alle aspettative altrui, formano la norma soggettiva. Tra le figure di riferimento dell’adolescente, è possibile includere i genitori, i fratelli maggiori, il gruppo dei pari, i professori, ma anche figure idealizzate come personaggi storici, o eroi moderni, dai personaggi dello spettacolo ai grandi campioni dello sport.

La dipendenza è parzialmente sotto il controllo genetico

Gli studi sui gemelli hanno mostrato che l’influenza genetica è in grado di spiegare circa il 60-70% della variabilità nella iniziazione alla dipendenza da nicotina e nel mantenimento della dipendenza, e il 51-54% della variabilità nella cessazione (10). Questi studi evidenziano l’ereditarietà comparando i comportamenti relativi al fumo dei gemelli monozigoti, che condividono il 100% del patrimonio genetico, con quelli dei gemelli dizigoti, che condividono la metà dei loro geni. Le indagini sulle influenze genetiche specifiche hanno mostrato che un fattore che condiziona il consumo, la velocità del metabolismo della nicotina, dipende dalla variazione su base genetica di enzimi, come la citrocomossidasi: i metabolizzatori rapidi fumano più sigarette, sono più dipendenti, hanno la metà delle probabilità di smettere e riportano sintomi di astinenza più seri rispetto ai metabolizzatori lenti (10). Gli studi sono problematici perché questi caratteri sono sotto il controllo di molteplici geni ed esistono interazioni tra geni e fattori ambientali (11).


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